22/04/10

MILES DAVIS





MILES DAVIS – Birth of The Cool. 1949

Le storie che raccontiamo, quelle che viviamo, quelle che leggiamo, sono fatte di piccoli momenti che si trasformano in occasioni colte al volo. Momenti che lasciano il segno. Per coglierli ci vuole fiuto, dedizione e passione.
A questa regola non sfugge nessuno. Neanche i più grandi. Cogliere l’attimo, riconoscere il momento propizio non è da tutti: quante storie conosciamo di occasioni sprecate? Ne ho lette di storie di questo genere... Di occasioni che all'improvviso cambiano la vita, in un senso, se colte, in un altro, se lasciate andare. E non conosco nessuno che non abbia vissuto un momento che gli abbia cambiato le cose.
Poi ci sono quelli a cui, per istinto, per ricerca, le occasioni si ripetono.
Parliamo di Cool Jazz, di Hard Bop (senza dimenticare la rivoluzione Be Bop ), Modal Jazz, Jazz Elettrico o Jazz Rock. Parliamo di un uomo che non si è fatto sfuggire le occasione che gli sono capitate e che, per certi versi, le cercava e le annusava come un cane da tartufo. Parliamo di Miles Davis.
Non è facile farlo. Davis è incondizionatamente uno dei più grandi, con una storia complessa e lunga, che ha segnato la musica, la storia della musica, oltre il jazz, perchè la sua fama e la sua influenza vanno oltre il jazz, con un solco profondo e deciso. Miles Davis è stato indubbiamente uno dei più grandi in assoluto. Un musicista dalla genialità espressiva formatasi con un suono tondo ed armonioso, leggero e morbido. Un suono di tromba dalle caratteristiche eminentemente notturne che gli valse, negli anni, il nomignolo di “Principe delle Tenebre”.
Le sue erano sonorità languide e melodiche, che contrastavano con i dettami della tecnica base del periodo in cui Davis ha iniziato la carriera musicale (era l’inizio dell’era del Be Bop), espressione di un modo di suonare che ha lasciato il segno anche visivamente. Miles suonava raccolto, rannicchiato, chiuso in se stesso e spesso, soprattutto nell’ultima parte della sua carriera, incerottato in un vestito d’orato di forgia Versace, anche di spalle al pubblico, in un gesto di stizzosa mancanza di rispetto. Ma non era così. Non era mancanza di rispetto.
La sua personalità forte e determinata ma racchiusa in un carattere molto introverso e timido contrastava con il ruolo di stella assoluta della musica del secolo scorso. E il dare le spalle era una sorta di segno di riconoscenza nei confronti dell’unica cosa al mondo a cui Davis doveva rimettersi: la sua stessa musica. “ …Preferisco un suono rotondo senza troppo carattere, una voce senza molto tremolo, vibrato o armonici gravi! Se non riesco ad ottenere un suono del genere non riesco a suonare…” dichiarò lo stesso Davis in un libro intervista. Allora, guardare verso il palco, suonare dando le spalle al pubblico – sarebbe, comunque, stato raggiunto dalle note della musica che diventava protagonista rispetto ai musicisti – era il suo modo di dare risalto a quei suoni straordinari che la morbidità della sua tromba produceva.
La sua tecnica nasce a Saint Louis, sua stessa città natale ( 1926), grazie al lavoro di Elwood Buchanan, primo maestro di Davis, che gli bacchettava le mani ogni volta in cui il giovanissimo Miles si produceva in un vibrato: “ ...Guarda Miles, piantala con questo vibrato alla Harry James. Non c’è bisogno di far tremare le note, perché tremerai abbastanza da solo quando sarai invecchiato…” (da un ricordo di Miles Davis sul suo avvicinarsi alla tromba).
Figlio di una famiglia afro-americana benestante, riuscì a superare la volontà della madre, abile pianista, di avviarlo allo studio del violino, quando il padre, all’età di 13 anni, gli regalò la tromba. Miles ne fu entusiasta e iniziò a studiare. Fu l’inizio.
Nel 1943 troviamo Davis nella formazione dei Blue Devils di Eddie Randle con i quali inizia la sua carriera musicale. L’ingresso in questa formazione gli permette d’incontrare e frequentare molti musicisti tra cui il giovane Clarke Terry, trombettista, giovanissimo ma già molto noto, Fats Navarro, Sonny Stitt. Stitt offrì al giovane Davis l’opportunità di unirsi all’orchestra di Tiny Bradshaw ma Miles, ancora sotto l’ala protettrice della madre, rifiutò l’offerta. Occasione sfuggita…
Nel 1944, Davis era al Riviera Club di St. Louis ad assistere ad un concerto della Billie Eckstine Big Band. Gli si avvicinò un musicista, grassottello e dalla faccia simpatica, disse a Davis di sostituire uno dei trombettisti, Anderson, e gli presentò Charlie Parker, Sarah Vaughan, lo stesso Buddy Anderson, Gene Ammons, Lucky Thompson e Art Balkey e dopo che Davis accettò la proposta si presentò: era Dizzy Gillespie. Occasione colta. Davis dirà che fu la sua reale folgorazione sulla via di Damasco, che da quel momento in poi sapeva cosa avrebbe fatto nella sua vita.
Fu affascinato dal fascino di Bird: “… Mi voltai e c’era Bird, conciato peggio di una merda, con la faccia gonfia, gli occhi arrossati e l’aria di aver dormito nei suoi vestiti spiegazzati per giorni. Ma era fico, con quell’aria hip che gli riusciva di avere anche quando era ubriaco e drogato…”. Fu affascinato così tanto che si trasferì a New Yoork ed iniziò a cercare un incontro con Parker e Gillespie per poter suonare insieme. Sarebbe stata la sua vera scuola, anche se, dopo l’incontro, inizierà a farsi coinvolgere nel giro di droga sino a restarne completamente preso: “…E’ inutile che tu sprechi i pochi soldi che hai per comprare roba da sniffare, perché tanto starai male lo stesso. Sparatela, e vedrai che starai molto meglio...”. Erano gli anni in cui la sindrome di Parker girava furiosa tra i musicisti al punto che molti di quelli che avevano suonato con Parker o morirono anch’essi o si persero o divennero, uscendone indenni, dei grandi. Un fattore stranissimo di crescita con incidenza sullo stato di salute che porta la creatività ai punti più alti. Del resto erano gli anni del Be Bop, dove i suoni erano aggressivi, dove gli strumenti erano delle armi da fuoco che sputavano note a velocità stratosferiche. Miles era convolto in ciò. Coinvolto ma distaccato. Coinvolto dalla droga (quasi scomparso completamente dalle scene per tossicodipendenza, dal 1949 al 1954). Coinvolto dalla voglia dì imparare, di conoscere le potenzialità dello strumento di emettere una gamma altissima di suoni. Coinvolto, si, ma non completamente preso da queste sonorità.
“…ai tempi del Be Bop tutti suonavano velocissimi. Ma a me non è mai piaciuto suonare tutte quelle scale su e giù. Ho sempre cercato di suonare le note più importanti di ogni accordo, per sottolinearle…”.
Questa è un’espressione di Davis che ci deve far comprendere bene il personaggio. La sua era ricerca, continua, della nota più importante. Ed era essere al di fuori degli schemi del tempo e delle mode. Il jazz era impostato in una direzione aggressiva e fantasiosa. Fatto di esplosioni di sonorità quasi violente ed acide, ma Miles cercava altro. Voleva mettere in quel che faceva qualcosa di proprio. Testimonianza di ciò la troviamo in una dichiarazione di John Coltrane che collaborò a più riprese con Miles creando un sodalizio che si sarebbe spezzato all’inizio degli anni 60 ridefinendo, ancora una volta, i canoni del jazz. Ma questa è un’altra storia, una storia che racconteremo la prossima volta che parleremo di Miles… Coltrane dirà: “ …Vedete, io ho vissuto per molto tempo nell’oscurità, perché mi accontentavo di suonare quello che ci si aspettava da me, senza cercare di aggiungerci altro… Credo che sia stato con Miles Davis, nel 1955, che ho incominciato a rendermi conto che avrei potuto fare qualcosa di più.”.
Fare qualcosa di più mettendoci qualcosa di proprio. Ecco Davis. Ecco Miles Davis il genio. Il creatore di stili musicali nuovi. Birth of The Cool.
Un passo indietro. Un salto alla fine degli anni 40.
Troviamo Davis che frequenta Gil Evans, compositore canadese. Con Evans, tra chiacchiere e musica, nacque una delle più importanti intese musicali della storia della musica jazz. Evans portò Davis a riflettere sul proprio stile musicale e ad avere l’intuizione di fare un passo indietro rispetto alla strada intrapresa. Be bop, ok. Ma quei suoni tondi e morbidi che fine avrebbero dovuto fare? Il sound di Davis avrebbe dovuto rimettersi all’indirizzo della moda del tempo ed adeguarsi alla velocità dei bopper più scatenati?
Davis aveva già la sua idea sulla velocità e sull’importanza del note all’interno dell’accordo. E Evans trovò terreno fertile. Propose a Davis la composizione di un nonetto, sulla falsa riga delle big band dell’epoca precedente e, con una formazione del genere, fare un piccolo passo indietro conservando gli insegnamenti conseguiti. La formazione cambiò più volte con un seguito di musicisti bianchi che fece storcere il naso alla comunità nera. Alcuni nomi: Davi, Roach, Mulligan, Konitz (chiamato per sostituire Stitt che aveva un suon troppo bopper), Zwerin, Winding, McKibbon, Shulman, Lewis, Haigh, Barber e Collins. In pratica una mescolanza d suoni bianchi e neri… una violenza ai dettami del Be bop. Un suicidio per una formazione jazz guidata da un nero….
Ancora Davis: “ …dissi che se c’è uno che sa suonare come Lee Konitz …io lo assumo immediatamente, anche se è verde con il fiato rosso. Io assumo quel figlio di puttana per come suona, non per il colore che ha…”.
Il gruppo, guidato da Davis che aveva la completa iniziativa di organizzare le prove e di dirigerle, suonò per diverse settimane al Royal Roost di New York con un cartellone in cui venivano accreditati anche gli arrangiatori. Cosa strana per l'epoca ma un modo per mettere in risalto la partecipazione anche attiva di Gil Evans al progetto.
Davis ottenne un contratto con la Capitol Records per la produzione di diverse incisioni uscite singolarmente e poi raccolte in un'unica incisione dal titolo: “ Birth Of The Cool”. La nascita del Cool… un titolo manifesto, volutamente lasciato così, con in copertina un Davis di profilo, su fondo nero che suona la tromba, sovrastato dalle scritte in rosso e in bianco. Una copertina semplicissima, tesa ad evidenziare la semplicità del suono, l’essenzialità del sound. La nascita di un nuovo linguaggio jazz, privo di orpelli di scale portate all’esasperata estensione articolare, vorticosamente su e giù in tutte le posizioni tonali. Un disco in cui la tecnica è l’essenzialità della nota, cercata, voluta, costruita e portata in alto.
Questa è antitesi del Be bop.
Nel disco troviamo: tanta musica colta europea ( portata dall’esperienza di Gill Evans, di chiara matrice classicistica); le sonorità delicate di quello che sarà il cd West Coast Jazz, il jazz bianco, espresse in formazioni allargate, anche qui antitesi con le formazioni bop (quartetti o quintetti al più); il riuso di strumenti caduti in disgrazia nel periodo bop ( tuba, trombone, corno francese…) che ruotano delicatamente negli assoli ed intervengono, raramente, in modo massiccio. Questa è senz’ombra di dubbio opera dell’intervento di Gil Evans che cura gli arrangiamenti con stampo chiaramente di musica classica, inserendo la delicatezza e la ricerca della nota – quello che Davis voleva ed aveva imparato dal suo primo maestro – in un contesto musicale, il jazz, che era ormai diventato un campo di battaglia tra colossi. Qui siamo ai limiti del jazz, molto ma molto vicini alla musica classica, con gli assolo studiati a tavolino e trascritti per durare un tempo determinato (totale contrapposizione al Be Bop dove l'assolo iniziava e tra note sparate e ripetute, non aveva una fine prevista) e il tempo, privo di battute singole, legato in maniera lineare con ritmiche, quasi sussurrate. È un sound morbido, rilassato, cool, appunto.
Il disco è stato più volte ripreso. Più volte reimpostato modificandone l’ordine di presentazione dei brani, sino al 1957, anno dell’emissione in commercio della versione definitiva. Il cool jazz era nato.
La prima occasione vera di Miles....
Le altre le vedremo prossimamente.


Ho scelto questa linea, per parlarvi di uno dei più grandi musicisti della storia. Una linea che prevede il frazionamento della produzione e della vita di Miles Davis in più articoli. In modo da compiere dei piccoli passi insieme.
A presto con Miles.
Buona Musica.

Vincenzo Altini













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